COSA SONO I VINI DEALCOLATI E COME SI FANNO

Si è detto tanto ultimamente sui vini dealcolati. Soprattutto da quando con il 2025 anche l’Italia si è messa in pari e ora ha una legge tutta sua che disciplina i vini senza alcool (o quasi). Amati dal marketing del vino, che li vede come la soluzione al fatto che le persone bevono sempre meno. Una sfida per i tecnici, che ancora stanno cercando modi per renderli sempre più bevibili (e sostenibili). Ancora, per lo meno in Italia, una novità da guardare a volte con sospetto a volte con interesse, soprattutto dopo i cambiamenti al codice della strada. Abbiamo tutti quell’amico che ha giurato che non li proverà mai e quell’amica incinta che invece li ha apprezzati e si è sentina meno esclusiva all’ultimo aperitivo. Ma cosa sono davvero? Cosa ci mettono dentro? E, soprattutto, che sapore hanno i vini dealcolati? È vero che fanno meglio alla salute rispetto ai vini tradizionali? Mi sono divertita a fare tutte queste domande a chi il vino lo fa, cioè all’enologa Nicole Bernardi e Davide Camoni, tecnologo, esperto di biochimica alimentare, ricercatore e consulente per alcune importanti wine farm, e insieme abbiamo cercato di capire se i vini zero o low alcool sono, come dice qualcuno, l’inizio della fine. Oppure se, invece, siamo di fronte alla più grande occasione del mondo del vino come lo conosciamo (solo che, probabilmente, non l’abbiamo – ancora e ben – capito).

Diamo i numeri sui vini dealcolati

Sempre più persone consumano meno alcol. Ma se si guarda al vino senza alcol, la curva invece torna positiva. Lo dimostrano i recenti studi dell'International Wine and Spirits Record (IWSR) secondo cui il 40% dei consumatori intervistati sceglie consapevolmente di ridurre l'assunzione di alcol, con motivazioni legate prevalentemente alla salute, alla sicurezza stradale e al costo della vita, mentre il 20% già opta per bevande senza alcol o a basso contenuto alcolico. Non stupisce quindi che, almeno negli USA, il mercato dei vini dealcolati abbia ormai superato il miliardo di dollari. E in Italia? Durante lo scorso Vinitaly, Unione Italiana Vini e Swg hanno presentato una ricerca da cui si evince che il 36% delle persone intervistate ha dichiarato che li avrebbe consumati con interesse. Dove acquistare vino dealcolato? Dall'introduzione della nuova legge, è possibile vendere il vino dealcolato italiano ovunque, dalle cantine alla Grande Distribuzione, passando per enoteche e ristoranti.

Vini dealcolati: cosa sono e come si fanno, secondo la (nuova) legge italiana

In Europa la produzione di vini dealcolati è regolamentata dal 2021. Ma il decreto attuativo in Italia è arrivato solo all’inizio di quest'anno. La prima domanda che faccio all’enologa Bernardi riguarda proprio la definizione di vino dealcolato. Perché non si può parlare di vini analcolici? “Perché, come viene esplicitato nella legge, la designazione della categoria non va a intaccare la definizione stessa di vino, che resta il prodotto della fermentazione alcolica di mosti d’uva. Si può quindi parlare di vino dealcolato, se il titolo alcolometrico effettivo del prodotto non è superiore a 0,5% vol. e di vino parzialmente dealcolato se il titolo alcolometrico effettivo del prodotto è tra 0,5% e 8,5/9%”. In altre parole, l’unico modo con cui in Italia è possibile ottenere un vino dealcolato è togliendo l’alcol dal vino.

Come si dealcola un vino? Per farlo, spiegano i tecnici, esistono metodi meccanici, come l’evaporazione dell’alcool, il cone-spinning e i setacci molecolari; fermentativi, che prevedono l’utilizzo di lieviti basso fermentanti per abbassare grado alcolico di qualche punto; e agronomici, che prevedono l’utilizzo di uve con una componente alcolica minore. Quest’ultima, affermano, è la meno invasiva oltre che la più sostenibile in termini ambientali. Si toglie l’alcol e cosa si mette al suo posto? Per fortuna la legge su questo è molto chiara. È confermato il divieto di aumentare il tenore zuccherino del mosto e aggiungere acqua o aromi esogeni al prodotto di partenza. Tuttavia, aggiunge Bernardi: “Sono pratiche che sconvolgono l’equilibrio interno del prodotto”. Ed è per questo, conclude Camoni, che in questo momento, dove siamo ancora in una fase davvero iniziale della produzione di vini dealcolati che “è così difficile fare un vino dealcolato che abbia un equilibrio sensoriale”.

Che sapore hanno i vini senza alcool?

Togliere l’alcol dal vino, infatti, ne modifica anche il gusto. Davide Camoni mi aiuta nel ripasso di chimica: “L’alcol e l’acqua hanno viscosità diverse e alcune componenti si legano al primo soltanto”. Per questo, se ne avete mai assaggiato uno, lo avrete trovato molto probabilmente fruttato, citrico e con una persistenza medio-bassa (io, personalmente, questo inverno descrivevo il primo spumante dealcolato che mi ha convinto davvero così). Sempre secondo Camoni, “L’errore grande di chi fa vino dealcolato oggi è concentrarsi solo sul bouquet. Bisogna invece concentrarsi sulla struttura del liquido finale per andare a ricostruire quella texture tridimensionale del vino tradizionale che è legata alla presenza di alcol. E che lo differenzia da altri tipi di bevande”. Non è però solo una questione di gusto. Anche salute e sostenibilità sono le più grosse obiezioni ai vini dealcolati. Mi risponde sempre Camoni: “L’alcol è un conservante naturale. Ma nel vino non ha solo questa funzione antisettica, ma la sua presenza mantiene anche sotto controllo le componenti acide e amare”. Ma è vero che fanno meglio dei vini tradizionali? “Solitamente, chi fa questa domanda pensa alle calorie. A livello calorico, bere un bicchiere di vino è come mangiare una banana e mezza, sia che sia dealcolato o che non lo sia. Per cui non direi che sono più salutari, sono cose diverse, che vengono bevute da persone diverse, in occasioni diverse”.

I vini dealcolati sono davvero inclusivi?

Le mie amiche incinte direbbero di sì. E anche bere. Ma i vini dealcolati sono davvero l'alternativa per chi vorrebbe bere vino e non può o è astemio o semplicemente ha cambiato idea? Attualmente, concordano Bernardi e Camoni, ne sappiamo ancora troppo poco e i vini dealcolati non sono in grado di restituire l’esperienza di un vino tradizionale. Ma, e qui è Camoni a riprendere la parola, “non bisogna fare l’errore di trattare i vini dealcolati come surrogati dei vini tradizionali. Numerosi studi evidenziano che ciò che ha fatto la fortuna del vino negli ultimi secoli, oltre ovviamente ai suoi attributi materiali - il profumo, il sapore, la sua capacità di accompagnare i piatti esaltandoli più di altre bevande, più dell’acqua in molti casi - sono quelli che potremmo definire attributi immateriali, come il territorio, la storia di chi lo ha prodotto e il suo progetto enologico, ma, soprattutto, come ci fa sentire. Questo, un vino dealcolato, che è ancora una bevanda molto poco tridimensionale e che deve ancora costruirsi la sua identità perché, ripeto, siamo all’inizio, non può restituirlo”.

I vini zero o low alcol sono il futuro oppure no?

Non solo gli studi lo dimostrano, ma anche Bernardi e Camoni dai loro osservatori dalla parte di chi il vino lo fa, danno per assodato che il bere di meno sia un movimento culturale. E che scegliere di bere vini a zero o low alcol è sempre più questione di esperienza di consumo. Qui i due tecnici concordano: “Si tratta di attrarre nuovi clienti e di rivolgersi alle generazioni più giovani. Entrambi i prodotti possono coesistere pacificamente in un portafoglio, senza essere sminuiti l'uno dall'altro”. E in termini produttivi? “Chi oggi vuole provare a produrre vini dealcolati dovrebbe scegliere uve monovarietali, che hanno una componente terpenica molto forte. Quindi moscati, traminer, malvasie. C’è, insomma, da scrivere una nuova enologia che sia maggiormente attenta alla texture del vino e non solo al bouquet”.

2025-03-24T09:48:18Z