LOTTA ALLO SPRECO ALIMENTARE: L’ESPERIENZA VINCENTE DI SITICIBO

Il dilemma del pollo fritto di Kfc, suor Mary l’ha risolto in pochi secondi. Non può andare sprecato, si recupera. Quando si ha a che fare con persone messe a dura prova dalla vita, si sa che sentirsi “normali” è il lusso più grande. Il cibo è una esperienza, oltre che un bene essenziale. Per chi vive in una casa famiglia, poter condividere con i compagni di scuola il racconto del pranzo speciale della domenica non è per niente scontato. Una procedura ad hoc per mantenere la catena del gelo e donare in sicurezza le porzioni surgelate di pollo fritto, ed il gioco è fatto.

In questi ultimi anni sul fronte del recupero delle eccedenze per solidarietà sociale si è fatto un enorme salto di qualità dal punto di vista normativo e culturale. Non può esistere un menù per “gli emarginati”, e un altro per chi può permettersi di scegliere. Pasta, riso, ceci in scatola per gli uni, frittura di pesce e tiramisù per gli altri. Al buonsenso il compito di dirimere il giusto mix in termini di sana alimentazione, ma a nessuno deve essere negata la dignità di assaggiare ogni tanto qualcosa di appetitoso.

È questo che da venti anni muove le attività di Siticibo. Una realtà nata nel 2003 grazie a quattro pionieri, Marco Lucchini, Giuliana Malaguti, Cecilia Canepa e Bianca Passera. L’esperienza del Banco Alimentare aveva fatto scuola dal punto di vista logistico ed organizzativo, ma già allora serviva mettere in campo qualcosa di diverso per recuperare le tonnellate di alimenti a rischio spreco generate da mense aziendali, scolastiche, gastronomie, e ristorazione in generale. L’entusiasmo forse ingenuo del primo recupero in una mensa aziendale a Segrate – tre cotolette alla milanese e quattro crocchette di patate – ora ha un bilancio pazzesco grazie ai tantissimi volontari che si sono aggiunti nel tempo.

Siticibo celebra i suoi venti di anni di attività con 13 milioni di pasti recuperati dalla ristorazione, e 95mila tonnellate di alimenti equivalenti a 190 milioni di pasti dai punti vendita della Gdo in tutta Italia. Si tratta di piatti pronti oltre a pane, frutta e dessert, eccellenti dal punto di vista nutrizionale, con elementi spesso carenti nelle diete di chi chiede aiuto alimentare, come proteine, omega 3, vitamine, e fibre. Un bilancio numericamente imponente, in grado di generare esternalità positive in termini economici, ambientali e sociali, a cui però si deve aggiungere quello che non si può pesare algebricamente. In una attività come questa il ruolo del volontario è strategico. L’attività di recupero deve essere molto efficiente, la donazione deve arrivare a destinazione in pochissime ore mantenendo sempre la catena del freddo e del caldo. Servono tanti furgoncini e non grandi bilici per il ritiro, e una rete capillare di prossimità di enti caritatevoli cui destinare le pietanze.

Si ha l’immediata percezione della utilità sociale, perché è possibile intercettare in modo “sartoriale” le esigenze di chi dona e di chi riceve. Siamo stati il primo Paese al mondo a recuperare da navi da crociera, grazie alla collaborazione nata tra Siticibo e Costa Crociere. Un progetto attivato sull’onda della Legge 166/16 “antispreco”. Un modello replicabile che, dal porto di Savona, è approdato persino alle Antille. A Civitavecchia questa collaborazione tra profit e non profit è diventata una opportunità di lavoro per alcuni dei ragazzi ospitati in una struttura di accoglienza. Da beneficiari di donazione, ad attori del proprio destino. Oggi ci sono tante forme di volontariato, alcune stabili fidelizzate con una specifica organizzazione, mentre altre sono episodiche legate per esempio ai grandi eventi catastrofali, alle giornate di colletta alimentare, alla pulizia dei boschi. Dobbiamo fare i conti anche con questo aspetto nuovo del volontariato, e guardarlo comunque con interesse soprattutto perché coinvolge i giovanissimi.

Per realtà come Siticibo serve senza dubbio una presenza costante, in grado di attivare il rapporto di fiducia con il donatore. Il compleanno di Siticibo ha tante candeline, rappresentate dai volontari che ne hanno costruito la storia giorno dopo giorno ciascuno con le sue motivazioni. Chi per salvare l’ambiente, chi per prendersi cura degli altri, chi per non sentirsi solo. Il senso del dono non risiede solo nel “quanto”, che è l’unica cosa che in genere interessa ai media sensazionalistici. Senza il “come” e il “perché”, il focus sta sulla “roba” – come direbbe Giovanni Verga – e non sul potenziale di rinascita e soddisfazione delle persone. Il senzatetto che da beneficiario diventa autista di quel camioncino, il ragazzino della casa famiglia che viene assunto come cuoco da quella nave da crociera, il manager che prima di andare in ufficio con giacca e cravatta fa un turno di ritiro presso un centro cottura.

In soldoni, per capire se la legge antispreco funziona, e se enti come Siticibo hanno senso, sulla bilancia mettiamo pure i chili recuperati ma non dimentichiamoci dell’effetto generativo insito nella relazione.

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