STORIA DI CLINTON, UN SEMISCONOSCIUTO VITIGNO PROIBITO E RIBELLE

Pensatevi vitigno, a metà del 1800. Avete il vostro prestigio, state facendo bene il vostro lavoro soprattutto adesso: siete il fiore all'occhiello dell'agricoltura della vostra Nazione, ora si chiama così. Siete fonte di sostentamento e gioia dei campi: il vostro succo è la salvezza di contadini e aristocratici, di ogni festa riuscita bene.

Iniziano ad arrivare, dall'America, alcuni vostri simili. C'è spazio per tutti, in fondo. Una, in particolare, ha rubato la scena. Si chiama Isabella, ma la chiamano tutti uva fragola. Si ambienta un po' ovunque, resiste, è rigogliosa. È tra i vitigni che resistono meglio all'ondata della trimurti delle malattie che si abbatte sui vitigni d'Europa: oidio, peronospera. Fillossera. Qualcuno vocifera che quell'insetto malefico lo abbiano portato, in Europa, proprio le viti americane: con una certa dietrologia si direbbe per effettuare una sostituzione biologica.

Il panorama vitivinicolo, e quindi il mondo dei vini, è destinato a cambiare. Ora le viti americane sembrano l'unica fonte di salvezza: vengono creati innesti dai quali sorgono specie resistenti alla fillossera, senza però perdere le caratteristiche del soprastante vitigno europeo.

Una specie di supereroe meticcio, con un nome - come un po' tutti i vitigni americani salvifici - strambo ed esotico.

Amici amici finché non ti rubano la vigna.

La storia di come il Clinton si sia intrufolato in Italia è raccontata, in maniera molto approfondita e particolareggiata, in un bel libro edito da Kellermann editore che si chiama "Vini proibiti. Clinton, Fragolino, Bacò e gli altri vigneti ribelli".

La storia, in buona sostanza, ruota intorno a un incipit folgorante: il Clinton, appena sbarca in Italia, si ruba la scena. È più resistente alla fillossera anche di Isabella, l'uva fragola: è il più resistente di tutti. Nelle aree di elezione vinicola del nordest, Veneto e Friuli su tutte (e poi anche nell'Agro Pontino, che negli anni della bonifica è una specie di colonia triveneta), diventa subito molto celebre: se ne produce un vino che ok, ha fortissimi sentori di lampone e di fragola, quelle nuance selvatiche che gli americani chiamano foxy, ma in tempi di magra è sempre meglio di niente. Un vino dal corpo generoso, piuttosto strong, che ti fa dimenticare i tempi bui che t'è toccato in sorte di vivere.

«Pur di avere qualcosa da bere va bene anche questo Clinton, che poi ti dirò, non è neppure così male», si dicevano i contadini. Anche perché fare i trattamenti anti fillossera, dopo la Prima Guerra Mondiale, non era neppure un'opzione. Il rischio, certo, era che i Merlot, i Pinot, i Cabernet, le uve da Prosecco, tutte le varietà con più prestigio, insomma, venissero travolte dall'invasione del Clinton.

Proprio quando la Vitis Vinifera sembrava alle corde, però, ecco la svolta autarchica: il fascismo vieta la coltivazione di questi vitigni "modificati" (che tecnicamente si chiamano ibridi diretti produttori): la viticoltura di sopravvivenza, che aveva regalato ettolitri su ettolitri di quel Clinton che aveva dissetato i nostri soldati della Grande Guerra, viene considerata, di fatto, fuorilegge. E in quanto tale, nei luoghi in cui sopravvive: ribelle.

Diverso dagli altri.

Questo, dicevano i contadini del Clinton: che fosse diverso da tutti gli altri. Per esserlo, diverso, lo era eccome: al di là delle qualità organolettiche prêt-à-porter, infatti, i grappoli di Clinton vantavano una concentrazione di pectine ben al di sopra della media, che se lasciata a fermentare a lungo avrebbe generato un ingente quantitativo di alcol metilico (il metanolo, per intenderci), sostanza - come abbiamo imparato a sapere - ferale per la salute umana.

A questo punto potreste chiedervi: che ne sapevano, i contadini, del metanolo prima che diventasse famoso in quanto Metanolo, cioè il più grande spauracchio e antagonista del mondo vitivinicolo dopo la fillossera?

Beh: lo sapevano. Però si affidavano comunque alla soffice capacità consolatoria di questo vino rosso dal sapore antico, simpatico perché un po' clandestino e un po' ribelle, con la sua alcolicità maschia e ruffiana.

Antonio Pennacchi, autore di "Canale Mussolini", fa fare più volte capolino al Clinton all'interno del romanzo: non foss'altro che per la sua portata metaforica, per il suo status di paria con un fortissimo ascendente sull'immaginario contadino. «Oggi questo vitigno è proibito in tutta l'Unione Europea», fa dire a un personaggio, «per l'altissima concentrazione di metanolo, lesiva del nervo ottico e delle cellule cerebrali. Insomma, è un'arma di distruzione di massa:

Però era anche buono, e - se le interessa, gliene posso far trovare ancora qualche bottiglia perché, nascosto come un clandestino ma coccolato più di un calciatore, se ne trova ancora qualche vigneto in giro».

Se vi è già balenata in mente l'idea di capire se, dalle parti di Borgo Hermada o Conegliano, c'è ancora qualcuno che coltiva Clinton e ne fa vino, beh, è solo perché in fondo non abbiamo ancora perso l'abitudine di farci rubare il cuore dai ribelli.

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