LA NUOVA VITA DEI VINI IN ANFORA, UN METODO ANTICO E DIMENTICATO

Quando nel 2014 l’azienda trentina Tava ha brevettato le sue anfore in ceramica per il vino, il mercato in Italia era quasi inesistente. I pochi vignaioli che usavano questo antico metodo di vinificazione georgiano compravano i recipienti dall’estero. In Italia non li produceva quasi nessuno, perché quasi nessuno aveva ancora scommesso sul vino in anfora. Tava veniva da produzioni di ceramica per le stufe del Trentino, un settore che viveva però una profonda crisi. Quando una sera Francesco Tava, Ceo dell’azienda, ha conosciuto Elisabetta Foradori della storica azienda di vini naturali di Mezzolombardo, ha scoperto il mondo dei vini in anfora. E ha deciso di scommetterci. Dopo aver venduto 11 anfore in ceramica nel primo anno di produzione, oggi Tava esporta anfore in tutto il mondo, sfruttando il momento d’oro di questo metodo di vinificazione. “È stata come un’esplosione improvvisa”, ammette Tava.

Il vino in anfora è stato scoperto 8mila anni fa in Georgia, si è diffuso in Occidente ma poi è stato abbandonato. Ora è rivalutato da sempre più vignaioli, a partire proprio dall’Italia.

Il vino in anfora, dalla Georgia a Gravner

Si dice che le prime vinificazioni di sempre siano avvenute nei vasi di terracotta, le anfore appunto. 8mila anni fa, nel 6.000 avanti Cristo, nel territorio caucasico dell’attuale Georgiavenne scoperta la vite e il potere del suo frutto, l’uva. Si iniziò a sperimentare per creare bevande a partire dagli acini, dalla cui fermentazione si otteneva qualcosa di molto simile a quello che oggi chiamiamo vino.

A Shulaveri Gora, che oggi è un sito archeologico, qualcuno iniziò a conservare questi acini pigiati nelle tipiche anfore di terracotta dell’epoca, i qveri. Non solo il materiale proteggeva l’uva nel suo processo di fermentazione, ma ne facilitava anche il trasporto verso lidi più lontani. Il vino in anfora georgiano iniziò così il suo viaggio nello spazio e nel tempo, toccando l’antica Grecia e l’Impero Romano. Poi però si perse per strada a causa del progresso tecnologico. Le anfore vennero sostituite perlopiù dalle botti in legno, che erano più facilmente reperibili e permettevano di contenere più vino. Nel medioevo venne il tempo dell’imbottigliamento in vetro e le anfore persero anche il vantaggio nella conservazione, dopo aver perso quello nel trasporto.

In Georgia i manufatti in terracotta continuarono a svolgere un ruolo nel campo del vino, tanto che i vasi di terracotta ovale interrati sono stati dichiarati Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’Unesco. Per il resto l’era delle anfore sembrava conclusa, quantomeno in Occidente. Fino all’arrivo di Josko Gravner. Negli anni Novanta una stagione particolarmente difficile per la vendemmia convinse il vignaiolo del Collio friulano a sperimentare la vinificazione in anfora, usando un manufatto donatogli da un amico. Gravner ne percepì le potenzialità e dopo un viaggio in Georgia decise di rivoluzionare una volta per tutte la sua produzione, fondata oggi sulle lunghe macerazioni sulle bucce. Proprie nelle anfore.

Perché il vino in anfora?

Dopo Gravner, la vinificazione in anfora si è diffusa in Italia. Lo ha fatto lentamente, al punto che alla fine del primo decennio del nuovo secolo i produttori si contavano ancora sulle dita di una mano. Poi qualcosa è cambiato. Oggi la dicitura “vino in anfora” e le anfore stilizzate riempiono le etichette di sempre più bottiglie. Non è un caso che Vinitaly, la fiera internazionale di vino tra le più conosciute e amate al mondo, ha organizzato la prima rassegna italiana dei vini anforati, Amphora Revolution, che andrà in scena il 7 e l’8 giugno 2024 a Verona.

Si dice che l’anfora faccia in un colpo solo il ruolo del legno, dell’acciaio e del cemento. Come sottolinea Triple A, associazione che distribuisce vino naturale da 20 anni, “con il legno l’anfora condivide la porosità, che dipende dall’impasto dell’argilla e dalla sua temperatura di lavorazione: minore è il grado di cottura, maggiore sarà la capacità di scambiare ossigeno con l’esterno, arricchendo il vino di gusto e colore”. Come l’acciaio, “l’argilla è un materiale neutro, che non cede sostanze aromatiche al vino durante l’affinamento, così da mantenere intatta l’identità della materia prima”. Di pari passo col cemento invece “è l’inerzia termica, ossia la capacità del materiale, e quindi del vino contenuto al suo interno, di non andare incontro a sbalzi di temperatura”.

Non c’è da stupirsi che il mondo delle anfore interessi a sempre più produttori, che negli ultimi tempi hanno deciso di diversificare la propria produzione, o di modificarla. La cantina veronese Giannitessari, per esempio, nel 2019 ha sostituito l’acciaio con la terracotta e il risultato è Rebellis, un Veneto Bianco da uve resistenti Solaris che ha rafforzato la sua identità grazie alla terracotta. “La decisione di utilizzare la terracotta come materiale per l'affinamento nasce, come spesso accade, da una serie di esperimenti, prove e intuizioni consapevoli”, spiega il proprietario, Gianni Tessari. “A nostro avviso questo materiale rappresenta un bel compromesso tra la neutralità dell’acciaio e l'impronta evolutiva del legno, la soluzione migliore per lo stile e la tipologia del nostro Rebellis”.

Un compromesso vincente su cui continuare a puntare anche in futuro. “Penso ci sarà molto spazio per la diffusione di questo tipo di contenitore”, continua Tessari, che mette in guardia dal rischio che l’anfora si trasformi in mero strumento di marketing. “Come per tutti gli strumenti a disposizione del produttore, anche l'anfora in terracotta dovrebbe essere utilizzata a ragion veduta, né per moda né per prassi”.

Il business della terracotta

Nell’aprile 2024 è nato il bianco in anfora di un’altra azienda vitivinicola italiana, la marchigiana Feudo Antico. L’InAnfora Pecorino Tullum, che segue all’InAnfora Rosso Tullum da uve Montepulciano, viene vinificato all’interno di anfore di terracotta da 750 litri, con fermentazione spontanea e follature manuali seguite da tre mesi di macerazione sulle bucce. L’affinamento avviene nelle stesse giare in terracotta per almeno quindici mesi, prima che il vino venga imbottigliato senza chiarifica né filtrazioni.

“A Tollo, dove sorge Feudo Antico, l’affinamento in anfora e la produzione di vino hanno una lunga storia, risalente all’epoca romana, come testimonia il rinvenimento di dolia da vino e da olio e di celle vinarie”, spiega Andrea Di Fabio, direttore generale di Cantina Tollo Group. “La nostra linea dedicata ai vini in anfora nasce con l’idea di portare la storia nel presente: è una tradizione che affonda le sue radici nei secoli, ma che sa ancora raccontare in maniera emozionante questo angolo d’Abruzzo”. Al momento si tratta di una produzione di nicchia per l’azienda, ma che è destinata ad aumentare. “Nel futuro punteremo ancora di più su questo metodo di affinamento, con lo scopo di valorizzare la nostra storia e il nostro territorio” continua Di Fabio. “Dal punto di vista organolettico, inoltre, i risultati sono incoraggianti e incontrano il gusto del consumatore moderno”.

Oltre alla creazione della nuova etichetta, Feudo Antico si è fatto promotore di un convegno interamente dedicato alla storia e alle prospettive odierne di questo metodo di vinificazione dalle radici antiche, con lo scopo di creare un network abruzzese rivolto alla produzione in anfora. Segno di come questo metodo di vinificazione, scoperto 8mila anni fa e poi finito nel dimenticatoio, oggi stia vivendo una seconda giovinezza in Italia. Per i vignaioli e per chi quelle anfore le produce.

Come l’azienda trentina Tava, che ha rivoluzionato la sua produzione di ceramica nel decennio scorso. Dalle stufe alle anfore per la vinificazione. “Nel 2015, il primo anno in cui abbiamo messo le nostre anfore in commercio dopo lunghi anni di studio dei materiali e di ricerca dell’impasto perfetto, abbiamo venduto 11-12 anfore. Le portavo io personalmente in qualche cantina nella Vallagarina”, ricorda il Ceo dell’azienda, Francesco Tava. “Per dare un’idea oggi abbiamo invece una fabbrica di 5mila metri quadrati, occupiamo 36 persone e serviamo a livello mondiale circa 1700 cantine. Nel 2024 produrremo 1350-1400 anfore rispetto alle 11-12 del primo anno e puntiamo a chiudere l’anno con sei milioni e mezzo circa di fatturato”.

Tava divide il mercato italiano con un’altra dozzina di produttori di anfore, tra cui la prima realtà italiana a realizzare giare da vino nel Belpaese, la Artenova di Impruneta, nel fiorentino. All’estero invece vende soprattutto in Francia, in particolare Bordeaux, Provenza e Côtes du Rhône, che coprono circa metà del business. “Ormai l’uso di anfore nella produzione di vino a livello mondiale è diffusissimo, l’anfora è sempre più uno strumento presente nella cantina dei produttori, soprattutto i nuovi”, chiosa Tava. “Per la nostra azienda puntare su questa produzione è stato un mix di fortuna e incoscienza, che ha dato i suoi frutti. Oggi non riusciamo nemmeno più a stare dietro al mercato”.

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