SLOW FOOD: “LA CRISI CLIMATICA MINACCIA GLI ULIVI, LA SPERANZA VIENE DAL BIO”

La Nocellara del Belice in Sicilia, la Taggiasca in Liguria, il Moraiolo in Toscana e Umbria, la Pisciottana in Campania, l’Itrana     nel Lazio e in Campania, la Carolea in Calabria, il Leccino in tutto il Centro-Nord. In Italia ci sono 538 varietà di alberi che producono le olive da cui si ricava uno degli elementi essenziali della nostra cucina. Un primato di ricchezza di biodiversità alimentare che per molti anni non si è tradotto in un primato economico. 

Paesi concorrenti, con modelli di olivicoltura basata su campi intensivi, pochi cultivar e una qualità più bassa del prodotto, hanno ricavato maggiori profitti. Ma la crisi climatica mette in crisi il modello super intensivo che stressa la terra. In particolare la siccità che da anni si sta accanendo sulle pianure spagnole sta avendo ripercussioni pesanti sul principale produttore di olio al mondo. Anche l’Italia soffre: l’ultimo decennio ha contato 4 annate drammatiche. E infatti 200 mila ettari di ulivi sono in abbandono e 300 mila in uno stato di mantenimento precario (su un milione di ettari coltivati da 827 mila aziende agricole).

Ma il modello italiano, basato su piccoli appezzamenti e su una grande diversità genetica delle piante, si sta dimostrando più capace di resistere agli stress climatici rispetto alle estensioni intensive in cui gli ulivi sono pigiati in uno spazio ridotto e hanno perfino perso la forma originale assumendo quella adatta al moto dei macchinari tra i filari.

È questa la foto che emerge dalla presentazione della Guida agli oli extravergini 2024 edita da Slow Food. “L’olivicoltura di piccola scala non intensiva vive un momento difficile, a causa della crisi climatica, degli alti costi di produzione e della mancanza di personale”, ha detto Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia. “In alcune regioni italiane le campagne si spopolano, i territori più interni vengono abbandonati, i fenomeni di dissesto idrogeologico sono sempre più frequenti e l’ambiente è fortemente minacciato. Però possiamo salvare i nostri paesaggi attraverso l’olivicoltura sostenibile, promuovendo pratiche attente all’ambiente, e al contempo salvaguardare la produzione e la tenuta delle comunità locali se difendiamo il modello di produzione che si basa sulla difesa della biodiversità e sul rapporto tra paesaggio agricolo e culturale”.

Un elemento essenziale nella partita per la difesa dell’olio di alta qualità, osservano a Slow Food, è la progressiva crescita del biologico. Negli ultimi dodici anni la coltivazione biologica è già cresciuta notevolmente arrivando a superare abbondantemente il 20% della superficie olivicola totale.

“Avere una biodiversità all’interno dell’oliveta permette di migliorare la struttura e la fertilità del terreno”, ha sottolineato l’agronoma Annalisa Berettini. Concorda Angelo Lo Conte, tecnico olivicolo: “C’è la necessità di investire in ricerca per trovare le soluzioni adeguate e per fare questo è necessaria una forte volontà di puntare sui punti di forza dell’olivicoltura italiana fatta di infinita biodiversità olivicola, ottime condizioni pedoclimatiche, valore sempre crescente del prodotto”.

2024-04-24T10:35:01Z dg43tfdfdgfd